Il Santuario di Hera Lacinia

Introduzione

Il grande santuario extra-urbano dedicato a Hera Lacinia è di certo, tra le aree sacre del mondo ellenico di epoca arcaica, il più importante della Magna Grecia. Il maestoso tempio dorico si trova a circa 10 chilometri più a sud della polis di Kroton, sul leggendario promontorio Lacinio (Lacinion), oggi chiamato di Capo Colonna (o Capocolonna).

Il promontorio Lacinio era noto già da epoca precoloniale, come evidenziato dal mito di fondazione dell’ecista Miskellos di Ripe, al quale l’oracolo di Delphi indica i limiti geografici della nuova colonia, tra la sacra Crimisa a nord ed il capo Lacinio a sud (Diod. VIII, 17.). Qui il mito vuole che si svolsero le vicende epiche di Herakles che predisse la fondazione della grande Kroton, ospite di Lacinio, abitante del promontorio. Da lui il nome del promontorio che diede anche l’epiteto alla dea venerata: Hera Lacinia.

Oggi tutta l’area sacra ricade nel Parco Archeologico di Capo Colonna, che si estende per circa 50 ettari e nel quale l’omonimo museo raccoglie i cospicui reperti provenienti dall’area di scavo antistante. I rinvenimenti più importanti dal punto di vista storico e artistico sono invece esposti presso il Museo Archeologico Nazionale di Crotone, dove un’apposita sala ospita il Tesoro di Hera.

Del famoso santuario dell’antichità restano visibili oggi poveri resti su cui domina una “desolata ruina” , l’unica colonna del tempio che, sfidando i secoli, è rimasta lì in piedi a perenne testimonianza. Il territorio litoraneo era un tempo di proprietà di importanti famiglie della nobiltà locale. I Marchesi Lucifero e Albani, i Baroni Sculco e Berlingeri, tutti latifondisti, avevano ciascuno una piccola collezione privata costituita con i reperti emersi nelle proprie terre e si interessavano di antichità. Sarà proprio lo Sculco il primo a pubblicare notizie sul santuario e sulla località chiamata ancora “Capo delle Colonne” (1).

La storia delle ricerche sul promontorio inizia con gli scavi non autorizzati di J. Clarke e A. Emerson tra la fine del 1887 e gli inizi del 1888, di cui non si conosce documentazione, seguiti nel 1910 dalla grande campagna voluta da Paolo Orsi e condotta dal Ricca. Gli scavi interessarono il muro peribolare, l’area del tempio e, più a nord, l’area del balneum romano. In questi scavi emerse la laminetta bronzea datata al IV secolo a.C. con iscrizione ad Hera Lacinia ( “tas Heras tas Lakinìas”) .

Le indagini continueranno episodicamente fino agli anni ottanta in cui sarà ripresa l’attività di ricerca sistematica. Nel 1983 Dieter Mertens inizia le ricerche intorno al tempio, per ricostruirne la forma e l’estensione e degli edifici H e K. Del 1987 la scoperta importante di un edificio, ad oggi il più antico del santuario, detto edificio B. L’ultima campagna 1999- 2004 ha invece indagato il settore più a nord del temenos mettendo in luce l’abitato di età Romano repubblicana.


Alle origini del culto di Hera

L’origine del culto di Hera in Grecia sarebbe nato dalla mistione di Dione dodonea(2) portata in Italia dai Cháones/Chônes (3) e della Hera argiva, culto sorto ad Argo, ove Hera fu innalzata al grado di moglie di Zeus, (4). Dall’Argolide il culto di Hera si diffuse anzitutto nel Peloponneso: nell’Elide e in Olimpia, a Sicione, a Corinto, e, fra le colonie corinzie, specialmente a Corcira(5).

Il culto di Hera nelle colonie achee è da ricondurre alle tradizioni religiose dei fondatori, e particolarmente Hera era dea protettrice di Argo, Sparta e Micene, ossia degli Achei dell’Argolide e della Laconia; le colonie achee si adeguano con tutta una serie di importanti Heraia: a Sibari, a Crotone, a Metaponto, a Poseidonia (6).

La presenza di alcuni reperti ceramici più antici, dell VIII sec. fa ritenere che l’area del promontorio Lacinio fosse adibita a luogo di culto già prima dell’arrivo dei coloni greci. Il fatto che questi reperti siano di importazione non sembra però essere significativo di attestazioni di frequentazioni greche dell’area sacra precedenti alla fase coloniale, come invece si verifica in altri contesti del sud Italia, ma piuttosto di “una dedica tardiva di reliquie o di oggetti esotici(7). Si tratta di infatti di rinvenimenti presenti nell’edificio B del Lacinio, che si data ai primi decenni del VI sec. a.C. (8).

Dal VII secolo è presente un tempo arcaico dedicato alla stessa Hera come vuole la tradizione (Licofrone, Alex., 856-865) che assegna la proprietà del promontorio a Teti, madre dell’eroe Achille, caduto nella guerra di Troia. Teti, in memoria del figlio, regalerà ad Hera il promontorio ed in suo onore vi costruirà un giardino. Nella prima metà del V secolo a.C. il Santuario di Hera Lacinia viene costruito sopra il precedente tempio arcaico del VII secolo. Contestualmente si provvede alla monumentalizzazione della via sacra.

Il santuario rappresentava un riferimento essenziale per la navigazione e un rifugio sicuro, di cui la dea si faceva garante. Hera proteggeva anche la natura e in particolare i bovini, che pascolavano liberamente all’interno del bosco a lei sacro. La ricerca archeologica sul promontorio del Lacinio è riuscita a fornire per Crotone una cornice materiale in cui inserire le notizie letterarie, permettendone la contestualizzazione nello spazio architettonico e paesaggistico, come dimostra il riconoscimento – persino – delle fosse di piantumazione destinate agli alberi dell’alsos, il bosco sacro(9).

Nella seconda metà del IV secolo i grandi santuari extraurbani e le mete di pellegrinaggio sembrano ricevere grande attenzione, come dimostramno i consistentissimi interventi architettonici profusi sia sull’Heraion a Capo Colonna che l’altrettanto antico Santuario di Apollo alaios a Krimisa/Cirò.
Verso la fine del IV secolo il primo fu dotato di strutture per accogliere i pellegrini, adottando tipologie che nel frattempo si erano evolute in Grecia, tra cui un hestiatorion e un katagogion, ed il Santuario di Apollo alaios sembrerebbe essere stato dotato di strutture simili, come anche anche il Santuario di Vigna Nuova (10).
Ancor più importante è stata la ricostruzione monumentale di quest’ultimo tempio (Apollo alaios), dove una sontuosa struttura periptero in pietra, schema di colonne 8×19, sostituisce il predecessore ligneo di età arcaica.

Aspetti rituali

(Il paragrafo è estratto da Valeria Parisi – Colonie in festa. Qualche riflessione sugli aspetti archeologici delle feste nelle città della Magna Grecia (2020), p. 281-283, testo al quale si rimanda per le varie note bibliografiche)

Il santuario extraurbano di Hera al capo Lacinio emerge come uno dei principali poli festivi della regione, con una dimensione certamente trans-locale.

Anche se nella maniera frastagliata offerta da fonti letterarie di natura, cronologia e attendibilità diverse (13), tutto parla a favore di un centro di culto molto attivo, … .
Colpiscono l’immaginario moderno come quello antico la ricchezza dei doni e delle opere d’arte esposte – tra cui il sontuoso mantello di Alcistene (11), ammirato durante feste annuali in onore di Hera che chiamavano a raccolta “tutti gli Italioti”(12), il celebre dipinto di Elena eseguito dal pittore Zeusi e le statue dei vincitori olimpici; la serie di prodigi che si credeva avvenissero nel santuario, dove le ceneri deposte sull’altare non erano portate via dal vento e il bestiame sacro pascolava senza pastore nei fertili pascoli dell’Heraion; le ingenti disponibilità di hierà chremata(13), che rendevano il tempio famoso “non solo per la sua sacralità ma anche per la ricchezza”, come ricorda Livio e confermano i saccheggi subìti; il suo ruolo simbolico, strategico e politico, che lo rende prima luogo di assemblea dei rappresentanti della lega italiota, poi rifugio di Annibale.

Sempre sul promontorio del Lacinio sappiamo che donne abbigliate a lutto, con vesti dimesse, commemoravano con un lamento funebre la morte di Achille. Il threnos ritualizzato in onore dell’eroe omerico ricorda la cerimonia che avveniva il giorno precedente la panegyris di Olimpia: nel ginnasio arcaico di Elide, al tramonto, le donne elee celebrano il lutto per Achille presso il suo cenotafio. Su queste basi, soprattutto M. Giangiulio ha insistito sul parallelismo strutturale tra l’Heraion di Crotone e il santuario di Olimpia, basato sulla polarità tra il culto divino di Hera e quello eroico di Achille, oltre che sulla componente agonistica.

L’esistenza di un’ampia via sacra(14) che attraversa il santuario – ne è noto un tratto lungo 58 mt dell’ampiezza di circa 8,50, con margines realizzati in blocchi di calcarenite disposti per lungo(15) – dà concretezza allo svolgimento delle processioni che, come sappiamo, rappresentavano uno degli eventi centrali nelle celebrazioni festive. La forte erosione del margine del promontorio non consente di individuare l’ultimo tratto della strada che doveva comunque seguitare ulteriormente in direzione est e terminare in una sorta di piazzale nel quale confluivano le processioni religiose e dove, forse, si trovava l’altare di cui parlano le fonti (16).

La costruzione, in una fase più avanzata di IV secolo, di un hestiatorion e di un katagogion, conferma non solo la continuità di vita e la piena attività del santuario, ma la necessità di creare strutture stabili per l’accoglienza dei fedeli, o almeno di gruppi selezionati di essi, e delle delegazioni.

Anche i risultati di analisi condotte su una documentazione molto specifica, come quella architettonica, contribuiscano a chiarire il palinsesto generale in cui vivevano il santuario e le sue celebrazioni festive: si tratta dello stesso clima cronologico e ideologico che dà avvio ai grandi cantieri edilizi della madrepatria, circostanza che riattiva, come in un gioco di specchi, la tendenziosa notizia che vuole che la tryphè dei Crotoniati si sia spinta fino a voler istituire giochi in concorrenza a quelli olimpici.

Le componenti del Santuario

Il tempio dorico.

Il Santuario di Hera Lacinia ruotava intorno al tempio dorico costruito nel V secolo a.C. sopra un precedente tempio arcaico del VII secolo, come attesta l’uso difforme di blocchi di reintegro. Oggi del tempio dorico, che aveva il classico impianto planimetrico a 6×19 colonne, rimane la nota colonna superstite, posta sopra un poderoso basamento composto da dieci livelli di blocchi di arenaria.

Delimitato dall’ampia cortina muraria, di cui oggi restano ben visibili ampi blocchi di opus reticolatum di epoca romana, rinforzata a Nord e a Sud da due torri esterne, il Santuario di Hera Lacinia si articola in due aree orientate ad Est ed attraversate dalla solenne Via Sacra (larga 8,50 m) individuata nel 1987.

Pianta Generale dell’Heraion di Capo Lacinio. 1. Tempio dorico; 2. Edificio B; 3. Via sacra; 4. Propileo (ingresso monumentale); 5. Muro di cinta; H. hestiatorion (sala per banchetti rituali); K. katagoghion (per l’accoglienza e l’ospitalità ai pellegrini).

L’hestiatorion (edificio H)

Lungo il lato a sud della Via Sacra, subito dopo la porta d’ingresso e della cinta muraria romana (entrando sulla destra) sorge l’hestiatorion (Edificio H), edificio per banchetti sacri, e che si allinea sull’asse determinato dal grande tempio dorico.

L’hestiatorion del Lacinio ha pianta quasi quadrata (26,30 x 29 m) ed è costituito da un cortile porticato su cui si affacciano 14 vani, anch’essi di pianta quadrata, di uguali dimensioni (4,74 m x 4,75), disposti simmetricamente in due serie di 5 e 2 ambienti.

hestiatorion (Gregorio Aversa)
Ricostruzione della pianta dell’hestiatorion del santuario di Hera Lacinia (17).)

Le misure degli oikoi sono funzionali a contenere 7 kline (lettino usato non solo per il riposo ma anche per consumare i pasti) per stanza; alla restituzione ipotetica dell’edificio si ricostruiscono complessivamente 98 klinai (18).

Particolare della ricostruzione di un oikos con la disposizione dei letti tricliniari
Enzo Lippolis – Disegno da Edifici pubblici e pasto rituale in Attica (2012)
(elaborazione grafica da un disegno di Piet de Jong, in Camp 1986)

Il termine “banchetti sacri” è da riferirsi al consumo di pasti rituali collettivi, un aspetto del culto ampiamente praticato in ambiente greco già dall’età geometrica ed arcaica. “La commensalità rituale collettiva rappresentava il necessario corollario dell’azione sacrificale ed era volta a stabilire rapporti, da un lato, tra la comunità umana e il referente divino, dall’altro, fra gli individui costituenti tale comunità, configurandosi, pertanto, come una complessa azione cultuale cui era sottesa un’elaborata operazione politico-sociale”. … “In virtù di tali profonde implicazioni di natura socio-politica, l’analisi delle strutture che ospitavano il banchetto sacro, gli hestiatoria appunto, permette di ricostruire indirettamente i cambiamenti verificatisi nella polis e, parallelamente, la definizione del paradigma di sviluppo architettonico contribuisce, per estensione, a tratteggiare la progressiva strutturazione spaziale e monumentale del santuario greco”. (19) (20). Già in età classica il banchetto rituale non è svolto all’aperto, ma è abitualmente ospitato in edifici noti come hestiatoria, che tra la fine del VI ed il V secolo si strutturano in numerosi vani destinati ad ospitatare i klinai ed in altri locali distinti funzionalmente per funzioni accessorie (cucine, magazzini, ecc). Questo modello degli hestiatioron e delle forme di partecipazione al banchetto rituale muta in età ellenistica con lo spostamento dei centri del potere, dalle città-stato ai regni: il nuovo quadro storico, imperniato non più sulle poleis, ma sulle monarchie, non necessitava più del consolidamento e dell’affermazione periodica dell’identità cittadina nei santuari, soprattutto nelle realtà di nuova fondazione (21)

In ambito magno-greco la tradizione del consumo di pasti rituali collettivi trova esempi significativi, sebbene in periodi cronologici differenti, nel santuario extra-muraneo di Afrodite a Locri (cd. Stoà ad U nell’area di Centocamere, databile nel VI secolo a.C.) e nel santuario di Hera Lacinia a Capo colonna.

In primo piano l’Edificio H (Hestiatorion, sala per banchetti rituali)
Fonte foto: The Greek world : art and civilization in Magna Graecia and Sicily, Rizzoli, 1996, p. 338

Il katagogion (Edificio K)

Lungo il lato nord della Via Sacra si trova il katagogion (Edificio K), albergo per ospiti privilegiati, dotato di un peristilio con colonne stuccate e capitelli di ordine dorico della seconda metà del IV secolo a.C.

L’edificio K (38×34 m.) presenta l’accesso tramite la via sacra sul lato sud, su cui affacciava con un portico dorico proseguito anche lungo il lato est a forma di elle. L’accesso avveniva, tramite un corridoio, direttamente nel peristilio su cui affacciavano su tutti e quattro i lati ambienti uguali (5,10×5,10 m.).
Il confronto planimetrico più calzante è con il Leonidaion di Olympia utilizzato come struttura d’albergo, per ospitare le delegazioni giunte per i giochi olimpici. In analogia con tale confronto l’edificio K viene interpretato come un Katagogion, servito forse per ospitare le delegazioni per le riunioni della lega Achea(22).

È un edificio che non può mancare nei santuari di rilevanza interregionale che ricevevano numerosi visitatori. L’etimologia deriva dal verbo gr. κατάγω (alloggio), che è il termine usato nel 426 a.C. da Tucidide (III, 68,3) per descrivere un edificio dell’Heraion di Platea(23). Un grande katagogion si trova a Epidauro. Si tratta di veri e propri alberghi, comprendenti numerosi ambienti organizzati intorno a un cortile (24).

Heraion del Lacinio: al centro a via sacra che culmina in alto con la porta del propileo monumentale d’accesso ad Ovest; a sinistra l’Edificio H (hestiatorion, sala per banchetti rituali); a destra l’Edificio K (katagoghion, per l’accoglienza e l’ospitalità ai pellegrini).
Il propileo (προπύλαιον) di accesso all’area sacra,
in un fotogramma estratto da video dell’Istituto Luce del 1957
Il propileo (προπύλαιον) di accesso all’area sacra, come si presenta nel 2022;
la passerella in legno al centro della foto simula la via sacra
Cartolina in B&N, con in primo piano l’edificio del katagoghion

L’Edificio B

A nord del tempio dorico si trova un altro grande edificio rettangolare (22×9 metri) definito edificio B, di cui rimangono tracce di fondazioni in calcarenite. Emerso dagli scavi aperti tra il 1987 ed il 1990 la costruzione è orientata ad Est, in modo più approssimativo rispetto al grande tempio, con un deciso spostamento dell’asse verso settentrione (25). In prossimità del basamento quadrato è stato rinvenuto un horos, un cippo di confine arcaico in calcarenite, che doveva delimitare una primitiva area sacra di grande importanza.

L’ipotesi più accreditata per questo edificio è che potrebbe trattarsi del primo luogo di culto risalente alla prima metà dell’VIII sec. a.C., abbandonato poi nel V sec. a.C. quando fu costruito il tempio classico.

La presenza, in fondo alla cella rettangolare, di un basamento in blocchi di calcare, posizionato asimmetricamente, che fa pensare ad una base per una statua di culto o una mensa per le offerte; potrebbe perciò trattarsi del più antico luogo di culto dedicato alla divinità.

Vicino al cippo è stato trovato il famoso diadema d’oro, datato intorno alla metà del VI sec. a.C. e che con ogni probabilità doveva incoronare il simulacro dì Hera. Nei pressi del cippo sono stati ritrovati anche altri importanti oggetti – tra cui spiccano gli splendidi bronzetti arcaici (Gorgone, Sfinge e Sirena), prodotti in madrepatria -, che “potrebbe farci pensare ad una specie di “luogo riservato” dove potevano aver trovato collocazione doni speciali”: presso l’horos sono stati, infatti, rinvenuti la barchetta nuragica ed una borchia d’argento sulla quale è stata applicata una lamina d’oro ritagliata da un altro dono prezioso. Ed ancora: nella terra in cui era incapsulata la corona/diadema è stato rinvenuto un anello aureo.(25). L’ipotesi più accreditata è perciò che dopo la fondazione del tempio maggiore (l’edificio A) questo tempio arcaico non venne demolito, ma riutilizzato come thesauròs, ossia un edificio destinato a conservarvi le offerte dei cittadini e della comunità urbana.

Per una descrizione più dettagliata dell’edificio B vedere in Spadea 1994(26)

L’Edificio B visto da est. Foto da R. Spadea – Santuari di Hera a Crotone

La Via Sacra

La strada sacra del santuario è stata scoperta tra il I988 ed il I989, sul margine settentrionale dell’edificio B. Ne è stato scavato un tratto lungo m 58 circa e largo m 8,50 circa, con margines realizzati in blocchi di calcarenite disposti per lungo, e ne sono stati messi sinora in luce gli strati di abbandono che possono ascriversi al III secolo a.C. Costituisce l’asse mediano che attraversa longitudinalmente il temenos collegandolo con il bosco sacro, i punti di approdo e l’altra grande area sacra nelle “quote Cimino”.

Come detto in precedenza la forte erosione del margine del promontorio non consente di individuare l’ultimo tratto della strada che doveva comunque seguitare ulteriormente in direzione est e terminare in una sorta di piazzale nel quale confluivano le processioni religiose e dove, forse, si trovava l’altare di cui parlano le fonti.

Spicca la grandiosità delle dimensioni, ma questo era da attendersi se si pensa che lungo tale maestosa arteria si snodavano le processioni che andavano a concludersi sulla punta del promontorio.
Si ritiene che la strada sacra sia sorta nel momento dell’ultima fase di vita dell’ edificio B, ovvero nel primo venticinquennio del V secolo a.C., allorché il grande vigore urbanistico che anima la polis, si riflette nel santuario di Hera con la costruzione del monumentale tempio poco più a Sud dell’edificio B. È il momento della tryphé crotoniate, conseguente alla vittoria su Sibari e successivo alla partenza di Pitagora dalla città (27).

Il bosco sacro.

Da Tito Livio apprendiamo dell’esistenza di un lucus, termine che in latino individua un “bosco sacro” ed è considerato da alcuni equivalente al greco àlsos, di uno selva rigogliosa e di alti abeti. L’esistenza sul promontorio Lacinio di un bosco di alti abeti, costituito cioè da un’essenza arborea, forse relitto botanico del manto primigenio di conifere boreali, che doveva. rappresentare un’ evidente difformità nell’ambito del paesaggio vegetale, di certo mediterraneo, potrebbe avere stimolato il suo riconoscimento come luogo sacro già da parte delle comunità indigene.

Per approndire l’argomento:
Domenico Marino – Boschi sacri e giardini nell’antico Lacinio (2003)
– Video “L’alsos ritrovato. Bosco sacro ambiente e archeologia“, a cura del Museo Archeologico Nazionale di Crotone

Alcune vicende storiche

Annibale, la colonna d’oro e le sue iscrizioni

Verso la fine della seconda guerra punica, dal 207 al 203 a.C., Annibale si era ritirato nella terra dei Bretti, che era rimasta la sua ultima roccaforte in Italia, ove manteneva le posizioni.

Tito Livio racconta (Ab Urbe condita libri, XXIII, 33) che gli ambasciatori di Filippo V di Macedonia che stavano venendo in Italia per sottoscrivere un trattato con Annibale, avevano preso terra a capo Lacinio per non usare la troppo ovvia e controllata rotta diretta dall’Epiro a Brindisi.

(LA) «Qui, vitantes portus Brundisinum Tarantinumque, quia custodiis navium romanorum tenebantur ad Laciniae Iunonis templum in terra egressi sunt. Inde per Apuliam petentes Capuam, media in praesidia romana inlati […].» (IT) «Costoro, evitando il porto di Brindisi e quello di Taranto, perché erano tenuti da presidi navali romani sbarcarono presso il tempio di Giunone Lacinia. Di là si diressero attraverso l’Apulia a Capua, ma incapparono in mezzo a posizioni romane […].»

E al capo Lacinio furono nuovamente catturati quando cercarono di ritornare in Macedonia (Ab Urbe condita libri, XXIII, 34):

(LA) «[…] ad Iunonis Laciniae, ubi navis occulta in statione erat, perveniunt. Inde profecti cum altum tenerent, conspecti a classe romana sunt […].» (IT) «[…] Giunsero al tempio di Giunone Lacinia, dove attendeva nascosta la nave. Quando partiti di là furono al largo, li avvistò la flotta romana […]»

Secondo alcuni studiosi la scelta di Annibale di collocarsi al Lacinio discenderebbe dal suo desiderio di ripercorrere le gesta di Heraklés, seguendo il suo percorso in Italia, fino al Lacinio ove secondo una certa tradizione il semidio ne avrebbe fondato il tempio di Hera (28).

Serv. ad Aen. III, 552: attollit se quia adpropinquantibus aut recedere montes videntur, aut surgere. diva
lacinia contra Iunonis Laciniae templum, secundum quosdam a rege conditore dictum, secundum alios a latrone Lacino, quem illic Hercules occidit, et loco expiato Iunoni templum constituit. alii a promontorio Lacinio, quod Iunoni Thetis dono dederat, †quod ante Troicum bellum conlaticia pecunia reges populique fecerunt. quidam dicunt templum hoc Iunonis a Lacinio rege appellatum, cui dabat superbiam mater Cyrene et Hercules fugatus; namque eum post Geryonem extinctum de Hispania revertentem hospitio dicitur recipere noluisse, et in titulum repulsionis eius templum Iunoni tamquam novercae, cuius odio Hercules laborabat, condidisse. in hoc temploilludmiraculifuissedicitur, ut si quis ferro in tegula templi ipsius nomen incideret, tamdiu illa scriptura maneret, quamdiuis homo viveret, qui illud scripsisset.

E’ in questo suo desiderio di emulazione e di rispetto verso i culti di Heraklés e di Hera praticati al Lacinio, anche per quello che rappresentavano per gli alleati greci e brettii, che si collocherebbe il riguardo di Annibale verso il tempio di Hera Lacinia, ove fece incidere su una στήλη bronzea, in greco e punico, il racconto delle sue gesta (Tito Livio, Ab urbe condita, 28.46.16).

(LA) «[16] propter Iunonis Laciniae templum aestatem Hannibal egit, ibique aram condidit dedicavitque cum ingenti rerum ab se gestarum titulo, Punicis Graecisque litteris insculpto(IT) «[16] Annibale trascorse l’estate vicino al tempio di Giunone Lacinia, dove eresse e dedicò un altare con un’iscrizione incisa in caratteri punici e greci, che esponeva, in termini pomposi, i risultati che aveva eseguito

Annibale, del resto, si era nutrito di cultura greca, aveva imparato il greco, fino a parlarlo discretamente, dallo spartano Sosilo che lo aveva poi accompagnato per tutta la guerra e ne avrebbe scritto la storia (Corn. Nep. Hann. 13)(29). Della lapide, andata perduta, parla anche lo storico greco Polibio, vissuto qualche decennio dopo i fatti; Polibio visitò il santuario di Hera Lacinia ed ivi lesse l’iscrizione lasciata da Annibale a ricordo delle sue imprese, dalla quale trasse dati e notizie utili per la scrittura della sua Storia romana, tra cui la formazione e l’esatta consistenza dell’esercito del cartaginese (30)

Pol. III, 33, 18: ἡμεῖς γὰρ εὑρόντες ἐπὶ Λακινίῳ τὴν γραφὴν ταύτην ἐν χαλκώματι κατατεταγμένην ὑπ᾽
Ἀννίβου, καθ᾽ οὓς καιροὺς ἐν τοῖς κατὰ τὴν Ἰταλίαν τόποις ἀνεστρέφετο, πάντως ἐνομίσαμεν αὐτὴν περί γετῶν τοιούτων ἀξιόπιστον εἶναι: διὸ καὶ κατακολουθεῖν εἱλόμεθα τῇ γραφῇ ταύτῃ
.

Questo atteggiamento di rispetto ed attenzione verso il tempo del Lacinio però contrasta con quanto raccontato da Celio Antipatro, citato da Cicerone, secondo cui Annibale per finanziare i costi della guerra avrebbe voluto appropriarsi di una colonna d’oro massiccio che si trovava in quello stesso tempio; Iuno (=Tanit) apparsagli in sogno lo ammonì di non compiere quel gesto sacrilego, minacciando di privarlo della vista anche dell’unico occhio con cui vedeva; il generale, spaventato, non solo non asportò la colonna, ma, con l’oro ricavato dal trapanamento della colonna per saggiarne il materiale, fece realizzare la statua di una piccola giovenca che pose in cima alla colonna (31). Questa tradizione è anche accolta in Livio (XXIV, 3)

Coelius Antipater, HRR I, fr. 34, 169-170 (= Cic. de div. I, XXIV, 48): Hannibalem Coelius scribit, cum columnam auream, quae esset in fano Iunonis Laciniae, auferre vellet dubitaretque utrum ea solida esset an extrinsecus inaurata, perterebravisse, cumque solidam invenisset, statuisse tollere. Ei secundum quietem visam esse Iunonem praedicere ne id faceret, minarique, si fecisset, se curaturam ut eum quoque oculum, quo bene videret, amitteret; idque ab homine acuto non esso neglectum; itaque ex eo auro, quod exterebratum esset, buculam curasse faciendam et eam in summa columna conlocavisse.

La visione di Annibale nella prospettiva culturale romana, pronto all’uso della religione per altri motivi, è evidenziata da Livio nel racconto della violazione del santuario di Capocolonna, ove – prima della sua partenza per l’Africa, richiamato in patria dal senato cartagines e- fece trucidare i prigionieri italici che si erano rifugiati nel tempio – che era rimasto inviolato fino a quel momento.

Liv. XXX 20, 5-6:
5. iam hoc ipsum praesagiens animo praeparaverat ante naves. Itaque inutili militum turba praesidii specie in oppida Bruttii agri quae pauca metu magis quam fide continebantur dimissa, quod roboris in exercitu erat in Africam transuexit,
6. multis Italici generis, quia in Africam secuturos abnuentes concesserant in Iunonis Laciniae delubrum inviolatum ad eam diem, in templo ipso foede interfectis.

5. ma ormai da tempo prevedendo proprio questa cosa aveva allestito con anticipo le navi. E così dopo essersi disfatto di un’inutile massa di soldati con il pretesto della difesa di città del territorio bruzio, le quali rimaste in scarso numero erano raffrenate più dalla paura che dalla lealtà, trasportò in Africa tutto il nerbo dell’esercito,
6. avendo fatto prima vergognosamente trucidare nel tempio stesso tanti altri di stirpe italica che rifiutandosi di seguirlo in Africa si erano rifugiati nel santuario di Giunone Lacinia inviolato fino a quel giorno.

Liv. XXX 20, 5-6

Traduzione da Alessandro Campus, Iscrizioni che non ci sono (più), in Aristonothos, n. 17 (2021), DOI: https://doi.org/10.13130/2037-4488/15616, nota 25, p. 285-286

I saccheggi in età repubblicana

Al termine della seconda guerra punica (202 a.C.), nel 194 a.C. a Crotone vi fu dedotta una colonia romana.

Per abbellire l’erigendo Tempio di Fortuna Equestre il console Quinto Fulvio Flacco fece smontare il tetto marmoreo del Tempio di Hera Lacinia che venne trasportato a Roma. L’operazione sollevò aspre polemiche; anche se è probabile che il santuario magno-greco fosse ormai in rovina, l’opinione pubblica fu indignata perché il materiale era stato sottratto non in un bellum iustum, ma profittando dei poteri magistratuali. Il Senato, dopo averlo giudicato, ordina la restituzione dei marmi ai Crotoniati e di compiere sacrifici riparatori da offrire a Giunone (Hera). Dopo la censura Q.F.Flacco comincia a dare segni di squilibrio mentale, e poco dopo muore suicida nel 172 a.C.; e l’opinione pubblica pensa a una vendetta divina per la sua empietà.

Ma a Kroton non si trova più nessun artigiano in grado di rimontare il tetto marmoreo (Tito Livio, Ab Urbe Condita, 42.3); un’altra ipotesi per il mancato ripristino della copertura marmorea e che “la situazione di crisi economica e sociale di Crotone che, a due decenni dalla deduzione della colonia romana, non si era ripresa dallo stato di prostazione in cui versava e quindi non era in grado di sostenere l’onere finanziario per il ripristino”(32).

Ulteriori saccheggi avvennero nel corso del I° sec. – probabilmente tra il 72 ed il 71 a.C., ad opera di pirati cilici e cretesi, come ricordato da Plutarco (33).

Il tempio dovette restare attivo e pieno di offerte per qualche decennio, fino al 36 a.C., quando la colonia romana fu assediata ed il tempio depredato da Sesto Pompeo (Appiano, Bell. Civ., v, 133) in fuga dalla Sicilia (App. Bell. Civ., V. 14, 133). Sesto Pompeo, in lotta contro il secondo triumvirato, dopo la sconfitta nella battaglia di Nauloco il 3 settembre del 36 a.C., fuggi da Messina e da qui si imbarcò verso l’Oriente tentando di sfuggire al generale M.V. Agrippa, incaricato da Ottaviano; giunto al promontorio Lacinio, depredò il tempio di Giunone. In seguito fece vela verso Corcira e poi verso Cefalonia, per poi trovare la morte a Mileto nel 35 a.C.. L’attestazione dell’assedio è data dalla “significativa presenza di ghiande missili”(34).

Sesto Pompeo potrebbe essere rimasto qualche tempo a controllare la colonia del Lacinio, o ne aveva un’influenza anche prima del suo atto sacrilego, come sembrerebbe dimostrare la presenza di numerosissimi Asses con l’immagine di Pompeo Magno distribuiti con omogeneità sino alla tarda repubblica(35), anche se in realtà queste emissioni monetarie di Sesto Pompeo sono state rinvenute in diversi siti costieri del litorale tirrenico e ionico come Vibo Valentia, Locri, Scolacium e Crotone e possono essere messe in relazione con gli eventi della guerra civile di 42-36 a.C., in cui Bruttium fu direttamente coinvolto(36).

La rivitalizzazione in età imperiale

Una serie di dati archeologici provano che – dopo un primo restauro ipotizzabile ed eseguito con materiali fittili, forse tra l’età tardo repubblicana e quella imperiale, si provvide ad effettuare lavori sulla copertura del tempio, mettendo in opera, tra l’altro, elementi marmorei (sima con testa leonina). Un indizio è dato in tal senso della presenza in tutta l’area del Santuario si trovano tegole timbrate al nome di quel Q. Laronius che era stato legato di Agrippa proprio in quella guerra, e fu ricompensato, dopo la vittoria, con il consolato nel 33 a.C. (37).

Questi interventi, insieme ad altre attività edilizie nel santuario – tra cui l’esecuzione di lavori per realizzare le terme annesse al complesso santuariale (come testimoniato dalla dedica epigrafica pavimentale di due duoviri quinquennalis, Lucilius Macer e Titus Annaesus Thraso), il restauro del muro in peribolo impiegando blocchi in opus quadratum, e il restauro della cella del tempio, con reimpiego di blocchi in opera reticolata – che viene ricordato dalla descrizione di von Riedesel; il viaggiatore tedesco poteva misurare l’altezza del primo filare in opera quadrata pari a palmi 7,5 sul quale vedeva poi svilupparsi l’opera reticolata (cfr. Mertens 1983, 229) – sono da mettere in relazione con tentativi di ripresa, nell’ambito di una politica religiosa romana(32).

L’area sacra, come detto, venne chiusa sul versante settentrionale ed occidentale da una poderosa cinta muraria, costituita da uno zoccolo in opera quadrata e da un alzato in opera reticolata. L’accesso sul lato ovest era garantito da un’imponente porta a tenaglia, fiancheggiata da un avancorpo rettangolare con funzione di torretta difensiva; un’altra torre difensiva è stata individuata a nord del propileo. L’intera opera di fortificazione è stata attribuita da studi recenti alla prima età augustea, realizzata in seguito alla famosa razzia di Sesto Pompeo (Aversa 2006; Ruga 2013, 190-191; Medaglia 2010, 277 invece ritiene lo zoccolo in opera isodoma risalente a una fase più antica).

Tratta della cinta muraria con il propileo lungo la via sacra.
Planimetria dell’Area archeologica di Capolonna con i principali elementi di età greca e romana (da Roberto Spadea – Il Tesoro di Hera (BDA n. 88), 1994). In rosso è evidenziato il limite del temenos verso sud e verso ovest; in grigio la via sacra. A: tempio; B: edificio B; P: via sacra; H: Hestiatorion; K: Katagogion; T: temenos; TN: Torre NAO; CR: Casa Romana

Il perdurare della devozione nei confronti di Hera Lacinia in età imperiale è ancora attestato tra il 98 ed il 105 d.C. dall’ara dedicata da Oecius procuratore imperiale (libertus procurator), in favore di Ulpia Marciana, sorella di Traiano(38).

Alcuni aspetti poco noti

Una tradizione riportata in alcuni testi informa della credenza che se qualcuno avesse inciso il proprio nome su una tegola di marmo del tempio, l’incisione sarebbe svanita nel momento della sua morte.

Qual’è l’immagine che della Dea avevano i krotoniati? Pare che una moneta di età ellenistica ne riporti una versione personificata: il volto di Hera Lacinia.

Approfondimenti

Per quanto non esposto o indicizzato in questa pagina, oltre ai diversi libri o sezioni di libri reperibili sull’argomento, rinviamo alle seguenti sezioni dei siti del GAK:

Note

  1. il paragrafi ed i 3 successivi sono ripresi da: “Parco Archeologico di Capo Colonna” – sito web del Segretariato Regionale della Calabria del Mic[]
  2. Dione (gr. Διώνη) è un’antichissima divinità greca; moglie di Zeus e venerata al suo fianco nel culto di Dodona; il suo nome è la forma femminile di quello di Zeus stesso e la rivela quindi come dea connessa con il cielo luminoso, sebbene sia anche legata con l’acqua e talora identificata con Afrodite; è madre di Afrodite in qualità di sposa secondaria di Zeus in Omero, quando a fianco di Zeus è ormai stabilizzata Era (Fonte: Treccani). Dodona (gr. Δοδώνη) era un antichissimo centro religioso dei popoli pre-ellenici, in una valle nel centro dell’Epiro ai piedi del Monte Mitsikèli presso Giannina, considerata la sede del più antico oracolo della Grecia, poi soppiantata da Delfi (Fonte: Treccani).[]
  3. Secondo le chiavi di lettura delle fonti storico-letterarie antiche (Aristotele, Pol., VII, 10, 1329b; Strabone, VI, 1, 14-15), le popolazioni Enotrie presenti nella Calabria si differenziano in diversi gruppi tribali: gli Itali, i Morgeti e i Choni. Il riscontro archeologico è riscontrabile in una differente cultura funeraria. I Choni (o Coni o Caoni o Kanes) occuparono un’ampia area della Calabria ionica settentrionale, da Metaponto fino a Crotone, non limitandosi alla sola area della Crotoniatide a Nord del Neto, corrispondenti alle sole città fondate da Filottete (Krimisa, Chone, Petelia, Makalla).[]
  4. in altre parti della Grecia, per esempio ad Atene e a Dodona, non è Hera la moglie di Zeus, ma Dione[]
  5. G.Pugliese Carratelli – Culti e dottrine religiose in Magna Grecia – Atti Convegno Taranto 1964, pp. 24-26[]
  6. Alfonso Mele – Magna Grecia. Colonie achee e Pitagorismo (2007), p. 39[]
  7. Enzo Lippolis, Valeria Parisi, “La ricerca archeologica e le manifestazioni rituali tra metropoli e apoikiai“,in Atti del 50% CSMG Taranto 2012, pp. 433-434[]
  8. Per i riferimenti Bibliografici – LATTANZI 1991, pp. 69-71; SPADEA 1992; SPADEA 1994; SPADEA 1996,in particolare pp. 41-80; SPADEA 1997, pp. 236-251; SPADEA 2005 – vedere Enzo Lippolis, Valeria Parisi, “La ricerca archeologica e le manifestazioni rituali tra metropoli e apoikiai“, in Atti del 50% CSMG Taranto 2012, pp. 423-455[]
  9. Valeria Parisi – Colonie in festa. Qualche riflessione sugli aspetti archeologici delle feste nelle città della Magna Grecia (2020), 283[]
  10. Roberta Belli Pasqua – Hestiatoria nella tradizione rituale delle colonie d’Occidente, 2012, pp. 25-26[]
  11. La veste di porpora del sibarita Alcistene era una veste di porpora variamente istoriata e tutta folgorante di pietre preziose. L’artefice vi aveva dipinto diverse specie di animali che sembravano vivi.
    Nella parte superiore era rappresentata la città di Susa e, nell’inferiore, la Persia. Il peplo era esposto nel tempio di Hera Lacinia, alla cui festa accorreva, ogni anno, una moltitudine di gente.[]
  12. Pseudo-Aristotele, De mirabilibus auscultationibus, 96:

    Ἀλκιμένει τῷ Συβαρίτῃ φασὶ κατασκευασθῆναι ἱμάτιον τοιοῦτον τῇ πολυτελείᾳ, ὥστε προτίθεσθαι αὐτὸ ἐπὶ Λακινίῳ τῇ πανηγύρει τῆς Ἥρας, εἰς ἣν συμπορεύονται πάντες Ἰταλιῶται, τῶν τε δεικνυμένων μάλιστα πάντων ἐκεῖνο θαυμάζεσθαι· οὗ φασὶ κυριεύσαντα Διονύσιον τὸν πρεσβύτερον ἀποδόσθαι Καρχηδονίοις ἑκατὸν καὶ εἴκοσι ταλάντων. ἦν δ’ αὐτὸ μὲν ἁλουργές, τῷ δὲ μεγέθει πεντεκαιδεκάπηχυ, ἑκατέρωθεν δὲ διείληπτο ζῳδίοις ἐνυφασμένοις, ἄνωθεν μὲν Σούσοις, κάτωθεν δὲ Πέρσαις· ἀνὰ μέσον δὲ ἦν Ζεύς, Ἥρα, Θέμις, Ἀθηνᾶ, Ἀπόλλων, Ἀφροδίτη. παρὰ δ’ ἑκάτερον πέρας Ἀλκιμένης ἦν, ἑκατέρωθεν δὲ Σύβαρις.

    Si dice che per Alcimene, il Sibarita, sia stato confezionato un mantello così costoso da essere esibito a Lacinio in occasione della festa di Hera, a cui tutti gli Italioti accorrono, e da essere ammirato più di ogni altra cosa esposta; si dice che Dionigi il Vecchio lo abbia acquistato e venduto ai Cartaginesi per centoventi talenti. Era di porpora, grande quindici cubi, e su ogni lato era ornato da figure ricamate, di Susa sopra e dei Persiani sotto; al centro c’erano Zeus, Era, Themis, Atena, Apollo e Afrodite. A un’estremità si trovava Alcimene e ai lati Sibari.

    Il passo ricorda l’himation (ἱμάτιον) del sibarita Alcistene (o Alcimene, a seconda delle fonti), che fu esibito all’Heraion di Capo Lacinio. Probabilmente realizzato con la tecnica dell’arazzo, come suggerisce il verbo ἐνυφαίνω. La ricchezza degli abiti dei Sibariti fa ovviamente parte della leggenda sulla loro proverbiale tryphé. Sempre a proposito di tessili, le fonti ricordano che le donne di Sibari erano invitate con un anno di anticipo alle feste religiose, per avere il tempo necessario a preparare le vesti e gli ornamenti.
    Dopo essere stato indossato dal suo proprietario durante le feste in onore della dea dei Crotoniati, occasione di ritrovo per tutti i Greci d’Italia,il prezioso manto entrò a far parte del tesoro del santuario; qui, molto tempo dopo, lo ritrovò Dionisio il Vecchio, che riuscì poi a venderlo ai Cartaginesi per la ragguardevole cifra di 120 talenti. Secondo la descrizione dei Mirabilia aristotelici, il mantello era di porpora (ἁλουργές), come molti degli abiti dedicati all’Artemide brauronia, misurava 15 cubiti di lunghezza (oltre 6,5 m.) ed era decorato su entrambi i lati con ζῴδια ἐνυφασμένα, ovvero con piccole figure intessute, che rappresentavano Susa e i Persiani (o Persepoli, a seconda delle interpretazioni), una lunga serie di divinità (Zeus, Hera, Themis, Atena, Apollo, Afrodite), Sibari e lo stesso Alcistene, per ben due volte. Di nuovo il verbo ἐνυφαίνω, applicato ad un tessile decorato con un programma figurativo di una tale complessità, allude quasi sicuramente alla tecnica dell’arazzo.
    (Daniela Marchiandi – Dediche effimere ad Artemide: tessili iscritti negli inventari di Brauron, in Munus Laetitiae – Studi miscellanei offerti a Maria Letizia Lazzarini – volume ii – pp. 75-76).

    Le feste di Hera (πανηγύρει τῆς ρας), cui affluivano tutti gli Italioti, sono attestate nel III sec. a.C. (quando fu scritto il De mirabilis auscultationibus); ma non sono sopravvissute dopo le dolorose vicende della seconda
    guerra punica
    . Probabilmente, durante le festività presso il tempio del Lacinio si riunivano anche le assemblee della Lega Italiota (F. Ghinatti, Ricerche sulla Lega Italiota, « Mem. Acc. Patavina», CI. Se. Mor. 64 (1961-62), 5 e 9-10).[]

  13. Per hierà chremata si intendono i beni sacri posseduti dalla divinità e posizionati nei santuari, tra cui monete, gioielli, oggetti e beni mobili di valore, e che formano il patrimonio a disposizione del Santuario[]
  14. La via sacra (in greco antico: Ἱερὰ Ὁδός, Hierá Hodós) è così chiamata in analogia alla strada da Atene a Eleusi che costituiva il percorso della processione dei Misteri Eleusini, celebrata in onore di Demetra e Persefone[]
  15. S.Medaglia, Carta Archeologica della Provincia di Crotone, 2010, p. 277[]
  16. LIV., XXN, 3, 7-8; VAL. MAX. 1, 8, ext. 8; PLIN. Nh. II, 240. Riferimenti in S.Medaglia 2010, Op. Cit., p. 278; nella nota 1231 una riflessione critica sulla localizzazione dell’altare. “… fama est aram esse in vestibulo templi cuius cinerem unquam moveri vento“, Livio, XXIV, 3, 7-8; “... in Laciniae Iunonis ara sub diu sita cinerem immobilem esse prestantibus undique procellis …“, da Plinio, Nh., II, 240[]
  17. Gregorio Aversa – “Lo sviluppo del santuario di Hera Lacinia: problematiche generali e nuove ipotesi”, in Roberto Spadea – Ricerche nel Santuario di Hera Lacinia, Gangemi, 2006, Fig. 23 p. 33. Esemplifica con legenda il disegno Schützenberger, da Mertens 1996, p. 339 (Mertens D., L’architettura del mondo greco d’Occidente, in G. Pugliese Carratelli (a cura di), I Greci d’Occidente (Catalogo della mostra), Milano 1996, pp. 315-346[]
  18. Roberta Belli Pasqua – Hestiatoria nella tradizione rituale delle colonie d’Occidente, 2012[]
  19. Rita Sassu, “L’hestiatorion nel santuario greco: un problema interpretativo e funzionale”, in Mediterraneo antico, XII, 1-2, 2009, 317-338[]
  20. Rita Sassu, “La commensalità rituale nel santuario greco. Alcune osservazioni sul significato sociale del sacrificio cruento”, in “Il cibo e il sacro. Tradizioni e simbologie”, 2020, pp. 99-114[]
  21. Rita Sassu, op. cit., 2020, p. 109[]
  22. D.R. Calabria, Il Parco Archeologicio di Capo Colonna[]
  23. Hellmann M.Ch., L’architecture grecque, II, Paris 2006, pp. 229-231[]
  24. M.Bianchini “Alcune tipologie edilizie: l’altare, il katagogion, l’hestiatorion, l’heroon, l’abitazione“. Sull’argomento vedere anche R.B.Pasqua 2012[]
  25. R. Spadea – Santuari di Hera a Crotone, #Edificio B[][]
  26. Roberto Spadea – Il Tesoro di Hera (BDA n. 88), 1994, pp. 4-9[]
  27. Roberto Spadea – Il Tesoro di Hera (BDA n. 88), 1994, pp. 3-4[]
  28. Claudia Santi – Gli dei di Annibale, in Polygraphia 2019, n.1[]
  29. Giovanna De Sensi – Annibale, il Lacinio e l’ultima trincea sull’Istmo (2017), p. 171[]
  30. Cesare Zizza, Le iscrizioni nelle Storie di Polibio: teoria e prassi dell’uso di materiale epigrafico per (ri-)scrivere la storia (2017), in Historikà[]
  31. M.D. Campanile, Dolo erat pugnandum, cum par non esset armis: le risorse di Annibale (2001) []
  32. Alfredo Ruga – La copertura del tempio A,1996, p. 100[][]
  33. Plutarco, Le Vite Parallele, Ed. Utet 2013, Vol. IV, “Pompeo” XXIX, 6: “Le navi dei pirati erano più di mille e le città di cui si erano impadroniti quattrocento. Dei templi prima inviolabili e inaccessibili assalirono e distrussero quelli di Claro, di Didima, di Samotracia, il tempio della dea Ctonia a Ermione, quello di Asclepio a Epidauro, quelli di Poseidone all’Istmo, al Tenaro, a Calauria, quelli di Apollo ad Azio e a Leucade, quelli di Era a Samo, ad Argo e al capo Lacinio.[]
  34. Roberto Spadea, L’abitato del promontorio Lacinio e la colonia romana di Crotone, in Ricerche nel Santuario di Hera Lacinia, 2006[]
  35. E.Arslan – Archeologia urbana e moneta: il caso di Crotone, 2005, p. 93[]
  36. Paolo Visonà, Susanne Frey-Kupper – The romanization of the ager Bruttius and the evidence of coin finds. Part I, 1996, p. 81[]
  37. Fausto Zevi, Presentazione del volume: Kroton. Studi e ricerche sulla polis achea e il suo territori, 2015[]
  38. L’ara venne trovata nel 1843 in un fondo del marchese Anselmo Berlingieri. Rif. Vito Capialbi – Di un’ara dedicata alla Giunone Lacinia,1846[]